martedì 15 luglio 2014

L'invasione dei tavolini

Che uso fare degli spazi pubblici in città e fuori?
Credo che tutti potremmo convenire sul fatto che ci sono molti possibili usi di questi spazi e che alcuni di questi usi configgono o addirittura sono incompatibili tra di loro: una piazza usata come parcheggio non può essere usata come spazio-gioco o essere occupata dai tavolini di un caffè o essere un giardino con panchine e aiuole.
Credo anche che tutti potremmo convenire che i diversi usi degli spazi pubblici generino delle esternalità, ovvero effetti positivi o negativi che un’attività ha sulle attività di un altro soggetto, senza che tale effetti si riflettano in prezzi pagati o in compensazioni ricevute da parte di altri soggetti. Ad esempio la sistemazione di uno spazio abbandonato a parco urbano porta vantaggi a chi ha una casa che si affaccia su quel parco senza che chi abita quella casa debba pagare per questo vantaggio, oppure l’apertura di un bar con orario notturno in una piazza porta svantaggi a chi ha una casa che si affaccia su quel parco senza che chi abita quella casa abbia nessuna compensazione per il disagio.
Vantaggi e svantaggi possono essere diretti o indiretti, temporanei o permanenti, immediati o differiti: può succedere che per alcuni quegli effetti siano positivi e per altri negativi.
Credo che tutti potremmo convenire che in una città è bene che vi siano molti usi diversi degli spazi pubblici; almeno se si conviene sul fatto che una città sia un luogo di incontro e di relazione tra persone diverse.
E credo che il ruolo della pubblica amministrazione sia di rendere massimi i vantaggi per tutti i cittadini, a partire da quelli più “deboli”.
Io credo che la museizzazione di pezzi di città o – persino peggio – la consegna di intere zone della città alla monocultura del turismo di massa sia una catastrofe nel lungo periodo.
Ci sarà chi ci guadagna nell'immediato, ma – oltre al fatto che molti ci rimettono anche nell'immediato – la perdita di funzioni urbane consegna parti di città, peggio se della città storica, alla scomparsa e alla banalizzazione, togliendo loro attrattività, competitività, vita.
Ecco perché non avere un piano degli usi e delle funzioni della città storica di Alghero è una sciagura che ha come effetto collaterale il dominio pieno e incontrollato dei tavolini, un vero blob inarrestabile e un po’ osceno.
Capiamoci: a tutti fa piacere – se possiamo permettercelo – di prendere un caffè seduti di fronte a un incantevole tramonto o di cenare in riva al mare. Ma fa anche piacere godersi l’ombra seduti a una panchina o portare a giocare in piazza i propri figli o nipoti.
Potremmo avere persino più tavolini se non li concentrassimo solo nelle zone centrali.
E se le zone centrali non fossero luoghi anonimi e senza qualità, sarebbero più attraenti, soprattutto quando c’è meno gente da fuori e servirebbe ce ne fosse di più.
C’è poi il discorso delle attività temporanee. Anche esse generano esternalità.
Un rally, un concerto, una fiera commerciale, la visita del papa, il gay pride. Non è facile fare il bilancio delle esternalità di questi eventi, ovvero la somma tra esternalità positive e negative: come calcolare l’effetto morale positivo del gay pride?
Ma chi governa deve porsi il problema, sapendo pianificare e distinguere.
Un piano del commercio in primo luogo per la città storica e le aree contigue, e poi un piano che regoli i plateatici (pochi e cari in alcune zone, molti e a buon mercato in altre), le concessioni, i parcheggi, il verde urbano, gli spazi-gioco, i mercati, le attività temporanee; nel massimo della trasparenza e della semplicità, quel che si può fare si deve fare subito, senza troppi vincoli e senza discrezionalità.
Il tutto gestito con un sistema informativo accessibile, capace di facilitare una gestione che sia anche finanziariamente efficiente, senza l’ossessione di fare cassa.