mercoledì 7 agosto 2013

Quel che c'è da correggere

Debbo ammettere che c’è una grande sensibilità anche per le piccole cose, quando si parla di urbanistica.
Come si usa dire in Grecia: “quando uno si è scottato la lingua, soffia anche sullo yogurt”.
Credo che basti andare un po’ in giro nelle nostre città per rendersi conto dei danni che le scelte urbanistiche negli ultimi decenni hanno fatto in termini estetici, sociali, di qualità della vita.
Io credo che si debba ripensare a quel che è successo in questi decenni e si debba cambiare rotta.
Comincerei dal rimuovere il campo da un’argomentazione che è infondata oltre che impropria.
Non potrà essere la nuova edificazione a salvare il settore produttivo dell’edilizia, che tutti sappiamo essere importante, anche per l’occupazione diretta e indiretta che genera.
Serve rilanciare l’edilizia? Io credo di sì, ma con un’ottica diversa che in passato. La devastazione degli ultimi decenni non è frutto dell’immaturità o dell’inefficienza del settore produttivo dell’edilizia: è frutto del dominio della rendita e della speculazione; i soldi non li facevano gli imprenditori, ma gli speculatori, i soldi si facevano sul valore aggiunto che alle aree comprate per due lire veniva – spesso in modo arbitrario, talvolta con la corruzione – aggiunto dalle scelte pubbliche, non sulla qualità e l’innovazione dei manufatti.
Voglio fare un’affermazione: serve rilanciare l’edilizia non perché di ogni attività industriale c’è bisogno se dà lavoro: ci sono attività inquinanti, che devastano l’ambiente e il territorio, che distruggono la salute che non sono ammissibili, anche se portano lavoro.
Ma rilanciare l’edilizia serve: c’è un enorme patrimonio abitativo che va risanato, recuperato, ristrutturato, riqualificato, ricostruito; c’è un assetto urbanistico dei quartieri, che coinvolge spazi versi, strade, piazze, servizi, che va ridefinito o addirittura costruito, ci sono interventi sulle mobilità urbane e extra-urbane che sono indispensabili, c’è un insieme di azioni per la difesa del territorio e del paesaggio che sono urgenti.
Per fare questo servono saperi progettuali e artigianali, innovazione tecnologica, materiali, architetti e urbanisti ben formati, cioè un’edilizia di qualità, ad alto valore aggiunto, ad alta intensità di lavoro e di lavoro qualificato.
Un rilancio dell’edilizia che è tanto più facile e possibile, quanto meno vi è consumo di suolo, aumento delle cubature, manomissione dell’ambiente.
I nemici degli imprenditori edili sono gli speculatori, non chi crede che non ci sia senso e ragione nella crescita improvvida del costruito.
Per questo varianti, variantine o correzioni che siano che aumentino il costruito, in assenza di una visione, senza equità, senza rispettare elementari norme estetiche, senza valutazioni o stime degli effetti, trovano un’opposizione, risvegliano timori e suscitano dubbi.
Per questo ci si aspetterebbe che si lavori a un piano urbanistico, moderno e innovativo, che sappia riconoscere quel che ormai urbanisti, amministratori riconoscono in Germania, in Francia, in Olanda, in Svezia, …: esiste la possibilità, anzi c’è la necessità, di trasformare le nostre città, ma per farle più belle e vivibili, più sobrie e più eleganti, in armonia con l'ambiente e la natura (oh yes).
E questa trasformazione dà lavoro, buon lavoro; e può darlo per lungo tempo.