venerdì 26 dicembre 2014

I tavolini al dunque.

Non so come finirà la vicenda relativa al nuovo regolamento  sul suolo pubblico.
Mi permetto quindi di fare delle considerazioni "a prescindere".
I miei venticinque lettori sanno come la penso, avendo sollevato più volte la questione.
Ne ho parlato nell'agosto scorso (qui), nel luglio scorso (qui), nell'ottobre 2013 (qui), e una prima volta nel luglio 2013 (qui).
Nel primo post scrivevo:

Credo che dovremmo fare alcune premesse (...).
La prima è che i tavolini occupano uno spazio pubblico; fanno concorrenza ai parcheggi, agli spazi per il gioco, alle aree per il libero godimento della città, determinano un paesaggio diverso da altri paesaggi esistenti o possibili.
La seconda è che l’iniziativa economica degli individui è una cosa molto positiva e che ciascuno è libero di intraprenderla, anche rovinandosi e fallendo se sbaglia; la libertà di intraprendere non è neppur essa assoluta, ma deve rispettare altre libertà: ad esempio quella degli altri di non essere sottoposti a inquinamento o a rumori molesti, e anche quella di chi lavora al rispetto della sua dignità.
La necessità e l’opportunità di regolare l’uso a fini privati degli spazi pubblici, con appositi meccanismi (ad esempio le concessioni) non sono in discussione, così come la necessità di sanzionare l’appropriazione privata di spazi pubblici (una volta si sarebbe detto “rubare alla vedova e all’orfano”) siano essi spiagge, strade, piazze; io direi che va sanzionata con severità e prontezza.


E proseguivo:
Comincerei da una cosa molto semplice: la trasparenza. Ogni concessione pubblica deve essere nota a tutti: non con un faticoso accesso agli atti, ma, direi, automaticamente, su un database in rete, con le caratteristiche, il costo, la data di richiesta e di approvazione, i nomi e cognomi di chi ha approvato, la perimetrazione esatta (...).
In secondo luogo le regole; la concessione pubblica configura in qualche misura obbligo di servizio pubblico: bagni accessibili, periodo di apertura, manutenzione e cura, diritti di passaggio.
In terzo luogo serve un piano che definisca quali aree sono utilizzabili e quali no e la percentuale di suolo che zona per zona può essere occupato, quale può essere la percentuale massima di area scoperta rispetto all’area interna, per tipologia di attività.
In quarto luogo servono rigorose indicazioni estetiche: una sorta di abaco degli arredi ammessi che va in automatico, se poi qualcuno si fa progettare il gazebo da Rem Koolhaas si sottoponga a una valutazione.
Infine serve una politica fiscale a sostegno di quella urbanistica, variare tasse e percentuali per evitare l’eccesso di concentrazione e favorire la distribuzione delle attività su aree più ampie.
Queste scelte vanno fatte coinvolgendo la popolazione direttamente interessata.

(...)
Continuo a essere convinto che una pubblica amministrazione possa far molto per garantire la libertà dei cittadini di intraprendere e la libertà dei cittadini di godere lo spazio pubblico: una saggia politica può far convivere queste due libertà.
Esattamente quel che non succede senza politiche pubbliche, quando un’amministrazione non c’è.


Ho assistito a due confronti pubblici sul tema, il mese scorso; uno con la presenza prevalente di abitanti del centro e l'altro con la presenza prevalente di esercenti (ma erano mescolati, e poi ci sono esercenti che sono anche abitanti) e mi ha colpito positivamente il carattere aperto e dialogante della discussione. C'era un sostanziale accordo sui principi (proporzionalità e frontalità, regole certe, convivenza di funzioni diversa, sanzioni efficaci).
Certo è più facile essere d'accordo sui principi che sulla loro applicazione, e quindi non stupisce che la discussione sia più accanita sul regolamento e sui dettagli (anche se non bisogna dimenticare che "è la somma che fa il totale": vedi qui).
Penso tuttavia che sia una buona cosa avere delle regole certe e stabili.
Una buona cosa lo è per gli operatori:  per gli esercenti del centro e quelli fuori dal centro, per quelli che hanno molto spazio interno e nessuna possibilità  (per la loro localizzazione) di avere spazio esterno, per quelli che hanno poco spazio interno, ma hanno possibilità di averne all'esterno, per gli altri operatori economici che non sono pubblici esercenti; per tutti loro avere regole certe è un'ottima cosa.
Una buona cosa per i turisti; credo che solo una visione miope ci possa illudere che i turisti vorrebbero avere tutte le piazza del centro occupate dai tavolini; certo è bello e utile avere tavolini, ma anche panchine, belle viste dei palazzi e delle piazze, spazi per far giocare i figli.
Una buona cosa per gli abitanti: anche a noi piace prendere il caffè in un tavolino all'aperto e ci piacerebbe poter godere di un buon aperitivo con vista mare (se ci sono pochi esercizi che offrono un buon aperitivo non è perché non hanno spazio all'aperto! Mi piace ricordare, al proposito, questa riflessione di un mio conoscente), ma anche a noi piace avere una bella vista di piazze e monumenti, avere panchine, spazi verdi, spazi per giocare, marciapiedi percorribili.

Certo un regolamento non basta: ci vuole pianificazione delle funzioni e  degli spazi.
Probabilmente alla fine, mettendo mano alla viabilità e alla gestione della mobilità (meno traffico automobilistico e razionalizzazione di soste e parcheggi), alla riqualificazione di strade urbane e quartieri, alla dotazione di servizi sui lungo-mare e nei quartieri, a un piano del commercio e delle attività, a un piano degli arredi e del colore, si arriverà ad aumentare il numero complessivo di posti a sedere all'aperto, anche in modo significativo, ma con diversa distribuzione e riducendo la densità in alcune zone.

Ma - si dice - c'è la crisi; e quando c'è la crisi tutto va bene. Non penso che sia vero: dalla crisi si esce aumentando la qualità e il valore aggiunto delle produzioni, con città più attraenti, con un'offerta gastronomica e commerciale più attraente, con aperitivi più sontuosi, con un'offerta che dura di più e ce si ingegna di essere attraente anche quando non è molto caldo; e anche con politiche dei prezzi, naturalmente; il bello è che di imprenditori innovativi nel campo della ristorazione e nei pubblici esercizi ce ne sono molti, molti di loro lo sono anche perché non godono di vantaggi localizzativi, e così si ingegnano (io ne ho in mente molti, e voi?).

Non so come finirà la vicenda. Ma potrebbe persino finire bene: con buon senso e rigore, trasparenza e lungimiranza. Io ci spero.