giovedì 13 ottobre 2016

Perché NO. Il paradosso di Cacciari // Parte due di tre

Io ho la presunzione di avere un buon rapporto personale con Massimo Cacciari, quasi un’amicizia.
Lo stimo molto e poiché è davvero un genio, penso che gli si debbano perdonare cose che ai comuni mortali non possono essere perdonate (sarebbe una bella riflessione quella del perché, in una certa misura, persone geniali nei diversi campi, come ad esempio Maradona, possono essere considerati legibus soluti, ma avremo modo).

L’argomento Cacciari è il più formidabile grimaldello per spingere a votare sì una quota di persone intelligenti e amanti del paradosso.
In cosa consiste questo argomento?
La proposta di modifica costituzionale è pessima, o comunque cattiva, (e qui potete anche fare qualche smorfia di disprezzo), ma, visto che in tanti anni si è tanto parlato e nulla fatto, cambiare è comunque meglio che non cambiare.
Alcuni sostenitori del Sì hanno un po’ modificato l’argomento, per dargli una parvenza di coerenza, dicendo che in fondo la modifica pessima non è (un piccolo ammiccare può far intendere al buon intenditore che tanto buona non è), ma in questo modo si perde l’effetto paradossale che rende attraente l’argomento.

A costo di beccarmi una delle sfuriate per cui Cacciari è famoso (non sarebbe la prima), cerco di argomentare perché questo paradosso è un grave errore (non solo politico).

Non voglio ricordare che modifiche alla Costituzione sono state fatte, di cui una molto più profonda anche se meno estesa di quella su cui si vota al referendum.
Ma sì voglio ricordarlo: l’intero Parlamento (secondo voto della Camera, 6 marzo 2012, 489 sì, 3 no e 19 astenuti) ha approvato una modifica costituzionale dettata dai poteri forti mondiali che modificava gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, che di fatto limita la sovranità nazionale. Avete letto bene; 3 no.
Ricordate appassionati dibattiti?
E non è stato il solo cambiamento, come sapete.

Voglio solo dire che c’è nel paradosso di Cacciari, passata la momentanea esaltazione per il colpo di genio, qualche cosa che non soddisfa neppure i pensatori raffinati; il fatto è che non risponde a una domanda: quanto cattivo deve essere un cambiamento perché la regola “cambiare è meglio che non cambiare” smetta di valere? Che so, la reintroduzione della pena di morte basterebbe per rendere invalido questo argomento?
È un fastidioso tarlo: non credo che l’affermazione “cambiare è meglio che non cambiare” reggerebbe in tutte le condizioni.
Ma se è così, torna prepotentemente in campo l’opzione: “cambiare è meglio se si cambia in meglio”.

Ho già detto che condivido l’opinione che i singoli cambiamenti in sé non siano gravemente negativi, ma che negativo sia l’insieme prodotto dai singoli cambiamenti, soprattutto perché introducono una maggiore fragilità del sistema.
La quasi totalità dei sostenitori del sì non ritiene negativa nel suo complesso la modifica anche se quasi nessuno la considera come una riforma davvero buona.

E qui sorge la domanda di contesto politico: anche ammesso che la modifica sia un po’ positiva, valeva la pena andare per questo a uno scontro così lacerante?
O non si potevano ottenere gran parte dei risultati (e forse più) con un consenso più ampio?
Ripeto la domanda: era davvero necessario esasperare uno scontro politico, dividere a metà l’elettorato? Quando tutti sappiamo che la carta fondamentale dovrebbe basarsi su una condivisione ampia?
Anche ammesso che non sia stato il Presidente Renzi a caricare di significati politici legati al governo in carica il referendum (e questo onestamente non si può dire: le prime dichiarazioni del Presidente Renzi caricavano di significati politici legati al governo in carica il referendum) non ci voleva un particolare acume politico per capire che sarebbe successo; e tutto si può dire di Renzi, ma non che non abbia acume politico.

Credo di aver spiegato perché, a mio avviso, la scelta di modificare la Costituzione con una maggioranza esigua e scontando uno scontro politico aspro e lacerante, sia di per sé una buona ragione per votare NO.
Pacatamente e riconoscendo alcune delle ragionevoli ragioni di chi vota sì, credo che si possa dire che no, non è così che si riforma la Costituzione.
La prossima puntata su oligarchia e democrazia.