venerdì 8 luglio 2011

A tutti gli animali urbani / Un appello del 2008 (senza esito purtroppo)



A tutti gli animali urbani! 

In pochi anni, pur in assenza di dinamiche rilevanti nell'afflusso di turisti, con un’economia stagnante ed una crescita di disoccupazione e sotto-occupazione, il centro storico della città di Alghero ha completato il suo processo di trasformazione in una “non-città” ad uso turistico (quella che – con un brutto neologismo – potremmo chiamare “disneylandizzazione”, ma a brutte cose è bene che corrispondano brutte parole); non solo: l’intera città si è trasformata in una distesa informe di servizi e di attività rivolte al turismo.
La conseguenza è stata la scomparsa dei servizi di prossimità, l’aumento dei prezzi, la perdita di funzioni, la banalizzazione dell’offerta, la cancellazione di diversità, quindi l’aumento della fragilità e della dipendenza.
Il tutto, in attesa che Soru faccia le valige (come rischia di succedere) e si possa cominciare a costruire di nuovo: costruire per costruire (la rendita alimenta sé stessa), in una città già piena di case vuote.
E intanto un patetico piccolo autobus “verde” da tre anni si aggira ridicolmente per le strade centrali, sempre desolatamente vuoto (sempre vuol dire che in tre anni non ha avuto un solo passeggero), foglia di fico dell’abbandono di ogni politica pubblica.
Non è una città di drammi Alghero, non ci sono strazianti contraddizioni, e neppure devastazioni irrimediabili.
Una città amministrata dal centro-destra, ma spesso non sarebbe diverso (non è diverso) se fosse amministrata dal centro-sinistra.
Ma è da Alghero che vorremmo partire per costruire un ragionamento, un’azione, un movimento, come se fosse l’epitome dei problemi urbani del nostro paese: una città media, con medi problemi e un’ordinaria follia.
La follia, la pura, evidente e dimostrata follia che il Mercato (quello con la M maiuscola di Dio) possa orientare e – alla fine – governare lo sviluppo urbano.
Senza pianificazione non c’è città, non c’è mai stata e non ci sarà mai: non vogliamo dire che non ci possono essere belle architetture, o confortevoli clubhouse, o ricchi centri commerciali, o parchi tematici divertenti, ma la città, ovvero la nicchia ecologica della nostra specie, il luogo che ci fa diversi come essere umani, donne ed uomini, dalle altre specie, il luogo in cui le diversità si incontrano e possono convivere (entrando in molte relazioni, in molti conflitti, in molte negoziazioni), la città – senza pianificazione - non c’è.
Perché la città è un bene pubblico, un luogo delle attività umane, non è una merce, anche se consente che le merci vengano prodotte, scambiate e consumate (la città è anche il luogo dei mercati, splendidi luoghi di incontro, con la m rigorosamente minuscola).
Senza pianificazione la città, che ha una “naturale” tendenza allo spreco e alla distruzione di ambienti, non può durare, non può entrare in equilibrio con il mondo, mangia sé stessa.
Con effetti globali e del tutto nuovi, perché l’ambiente della città è oggi il mondo e non c’è un altro mondo, più lontano, che può sostituire quello che viene distrutto.
Città fragili, in contesti delicati, hanno governato le loro terre e le loro acque, le loro economie e i loro conflitti e hanno vissuto, splendide, per molti secoli; quando hanno ceduto alle logiche del Mercato sono scomparse: Venezia è la più simbolicamente importante.
Rivolgiamo una proposta a quelli tra urbanisti, architetti, sociologi, economisti, archeologi, storici, scrittori, statistici, cartografi, scrittori, fotografi, registi, geografi, amministratori, geometri, giuristi, … che sono convinti che:
  • la città è un bene pubblico
  • la pianificazione è indispensabile
  • la sostenibilità è possibile
  • il futuro delle città non lo devono decidere gli “attori”, ma i cittadini
La proposta è di incontrarci ad Alghero nel prossimo Autunno / Inverno per dare vita alla rete nazionale la “Città è un bene pubblico”, con i pochi punti di convergenza che abbiamo elencato, e magari molti dissensi su altre cose; incontrarci noi moderati e noi radicali, noi innamorati del progresso e noi fanatici della conservazione, noi quantitativi e noi qualitativi, ma tutti inflessibili difensori dell’idea che non spetta alla speculazione decidere del nostro futuro e che – nonostante tutto – la città è possibile.

Arnaldo Bibo Cecchini
Edoardo Salzano
Giorgio Todde, scrittore
Giulio Angioni, antropologo
Piero Bevilacqua, storico
Francesco Erbani, giornalista
Oscar Mancini, sindacalista
Antonio di Gennaro, agronomo
Antonietta Mazzette, sociologa
Maria Pia Guermandi, archeologa
Giovanni Azzena, archeologo
Alberto Magnaghi, territorialista
Vezio De Lucia, urbanista
Roberto Camagni, economista
Gabriella Corona, storica
Giacomo Mameli, scrittore