sabato 11 gennaio 2025

Qualche riflessione; riprendo il mio blog

 

In questi ultimi anni mi è capitato di scrivere poche cose, quasi tutte su richieste; in genere brevi testi.

L'ultima richiesta è questa per una mostra allo IUAV:

"Datapoiesis: una genealogia sulla costruzione di modelli e paesaggi di dati nella progettazione"
mostra a cura di Irene Cazzaro e Luca Nicoletto

Biblioteca IUAV, sede dei Tolentini, dal 15 gennaio al 3 febbraio 2025.

Ecco quel che ho risposto.

Grafi e modelli matematici: qual è il valore di questi strumenti per la pianificazione urbana? Come si lega a questo il suo lavoro?

Credo sia abbastanza evidente che in tutti settori l’uso di modelli e tecniche di analisi, di interpretazione e di previsione sia inevitabile e fecondo. La pianificazione in generale e quella urbana e territoriale in particolare si sono sempre giovate di strumenti e tecniche quantitative, a volte avendo un ruolo importante nell’introdurle e raffinarle. Con la necessaria attenzione a non attribuire ai modelli più di quanto possano dare e con l’avvertenza che la pianificazione è legata alla previsione e che – in senso stretto - la previsione è impossibile, possiamo dire che senza modelli quantitativi nessuna politica efficace di gestione delle trasformazioni del territorio è possibile.

Personalmente ho lavorato quasi esclusivamente a utilizzare, inventare, sviluppare tecniche rigorose (prevalentemente quantitative, ma non solo) di descrizione, analisi e previsione. 

 

Come IUAV rispondeva e alimentava questo dibattito negli scorsi decenni?

La mia esperienza è soprattutto legata a Ca’ Tron e quindi non ho una visione approfondita di tutto lo IUAV. Ciò premesso devo dire che le varie anime del coté urbanistico dello IUAV (e mi limiterò a questo) hanno da sempre avuto un’attenzione particolare per l’uso dei metodi quantitativi e anche hanno maturato una riflessione critica sui loro limiti e le loro potenzialità. Il corso di laurea di Urbanistica è stato pensato da Giovanni Astengo non solo come intrinsecamente interdisciplinare, ma anche con un ruolo rilevante delle discipline quantitative. Solo questo spiega come e perché un laureato in Fisica come me  ha trovato un suo spazio come borsista e ha poi sviluppato il proprio percorso allo IUAV.

Una tappa molto rilevante di questo percorso è stato il convegno internazionale SIGIS (SImulazione e GIochi di Simulazione) dell’Ottobre 1985 voluto da Francesco Indovina e da me organizzato: i contributi sono raccolti nel volume Simulazione. Per capire e intervenire nella complessità del mondo contemporaneo e pur invecchiati sono ancora attuali; da SIGIS è nato il laboratorio Stratema. Pochi anni dopo – per impulso e coordinamento di Luigi Di Prinzio - nasceva l’esperienza dei corsi di Sistemi Informativi Territoriali, una storia lunga e rilevante a livello nazionale.

 

Si potrebbe provare a ricostruire la storia di una parte della biblioteca Astengo con l'obiettivo di tenere traccia di questa tradizione?

Non saprei rispondere: Credo che si possa ricordare il ruolo che due colleghi che hanno sviluppato in modo creativo e utile tecniche e metodi quantitativi hanno avuto nelle attività collegate alla biblioteca (la biblioteca Astengo era un vero “ecosistema” collegato a diversi centri di documentazione): parlo di due colleghi purtroppo scomparsi Silvio Griguolo e Paolo Santacroce.

In un certo periodo la dotazione di testi e materiali relativi ai metodi quantitativi e ai modelli urbani presenti a Ca’ Tron era davvero significativa e ampia.


Come questa tradizione influenza il dibattito attuale?

Manco da un quarto di secolo dallo IUAV e quindi la mia risposta non sarà specifica. Ho avuto un’interessante esperienza come Presidente di Commissione per l’ASN del settore ICAR/20:  di qualche anno fa, ma credo che le conclusioni che posso trarne sono ancora valide (forse di più): il numero di candidati e di abilitati con un approccio fortemente orientato alle tecniche e ai modelli quantitativi è assai rilevante e la loro produzione è di buona qualità; tuttavia pochi sono coloro che riflettono sul rapporto tra tecniche e principi della “disciplina”, sicché le pratiche della pianificazione usano sì le tecniche, ma sovente senza pensare che esse non sono meri strumenti; questa divaricazione è pericolosa.

C’è da dire che nei due Dipartimenti di Ca’ Tron questo rapporto tra tecniche e teorie era discusso e praticato.

Aggiungo che quando parliamo di tecniche e modelli quantitativi forse siamo un po’ imprecisi: dovremmo parlare di metodi e linguaggi rigorosi: penso al lavoro, accademicamente sottovalutato, di Virginio Bettini e ai suoi contributi alla valutazione, sia dal punto di vista degli strumenti che del loro inquadramento teorico.

 

Come vede il futuro dell’urbanistica, specialmente in relazione all’uso crescente dell’intelligenza artificiale?

Per completare il ragionamento precedente è mia opinione che la straordinaria potenza delle nuove tecnologie non possa che modificare i paradigmi della pianificazione.

Pianificazione è collegata a previsione: se non si ragiona sul concetto di previsione e sul carattere doppiamente complesso dei sistemi sociali e territoriali, la pianificazione resta legata a modalità deterministiche e inefficaci; con l’amico e collega Ivan Blečić abbiamo proposto di muoverci verso una pianificazione antifragile che consenta l’azione orientata al futuro senza costringerla a una previsione forti; dato che il futuro non si può prevedere in modo preciso, per confrontarci con i futuri possibili sono utili buoni modelli e diversi modelli (e per un buon modello devono anche buone teorie)

Fare i conti con la complessità è possibile solo ripensando ai modelli che la descrivono e la comprendono (il premio Nobel a Giorgio Parisi con questo ha a che fare): in questo senso soprattutto - e non solo per l’uso esaustivo e creativo di imponenti basi di dati – l’IA può dare un contributo eccezionale.

 

Come questi strumenti (dai modelli matematici degli anni '70 fino all'intelligenza artificiale) possono contribuire alla crescita delle nostre città, soprattutto ad un livello sociale e culturale?

Rispondo con un esempio. Noi abbiamo più o meno tutti accettato un modello lineare della nascita della storia e della città in quella storia: si passa dalle comunità di cacciatori-raccoglitori a società agricole che originano un surplus, la divisione del lavoro, le gerarchie, le città. Nei fatti la preistoria è durata qualche decina di migliaia di anni e sappiamo che ne sono successe di cose: recenti scoperte archeologiche, rese possibili da un uso intenso di nuove tecnologie, ci mostrano che sono esistiti insediamenti umani di grandi dimensioni che, per uno o più aspetti, non corrispondono a quello schema; quello che si può fare con l’IA è riscostruire la storia della preistoria, magari scoprendo che non c’è stato un solo cammino, che molti altri cammini  ci sono stati e che hanno prosperato e durato: un altro mondo è possibile, un’altra città è possibile, anche perché un altro mondo e un’altra città sono stati.

Ecco il contributo maggiore che questo “strumenti” possono dare: la città non è destinata per forza a essere prigioniera del mercato e della rendita (in realtà il mercato e la rendita stanno portandola verso l’estinzione).

 
Quale crede che sarà l’evoluzione futura più importante nella pianificazione urbanistica?

Non sono ottimista. Come dicevo senza che vengano rimessi in discussione i paradigmi  della pianificazione non ci saranno evoluzioni significative o positive. Certo l’uso degli “strumenti” renderanno più facili ed efficaci le pratiche (e questo è un bene), ma senza capire e interpretate la complessità e basare su questo la teoria della pianificazione e senza un insieme di movimenti e un pensiero  che  mettano in discussione la logica del mercato e della rendita, meglio di oggi non si farà.


                                           

martedì 24 novembre 2020

Il voto è - in ultima istanza - una scelta razionale. In una buona democrazia tutti i voti sono utili.

Ci sono o ci possono essere molte motivazioni che stanno dietro alla scelta di votare (o di non votare).
Ci sono quindi anche componenti emotive o sentimentali, ma alla fine la scelta è razionale.
a) Si vota per appartenenza: cioè si sceglie la lista del partito o movimento cui si appartiene, indipendentemente dalle specifiche contingenze elettorali ovvero nelle condizioni date (o almeno senza dar loro troppo peso).
b) Si vota per la lista o la persona che - nelle condizioni date - sono comparativamente migliori.
c) O - se non ce questa possibilità - ci si astiene o si annulla il voto.

Condizioni date vuol dire: sulla base dell'offerta politica e dei meccanismi elettorali: le due cose insieme determinano il possibile esito della scelta in questo caso.
Un esito che può essere immediato o differito.
Faccio un esempio per chiarire questo punto: può darsi che il candidato o la lista che riteniamo comparativamente migliore non abbia possibilità di vincere o di essere eletto: potrebbe essere una scelta razionale votarlo se si pensasse che un suo buon risultato in questa elezione, per quanto insufficiente, potrebbe favorire un esito positivo nella prossima.

Veniamo a noi.
Per me non si dà  - da molto tempo - l'opzione a).
Rimangono le altre due.
Per ragioni cui accennerò, escluderei la c).
Quindi discuterò la b).

Avremo a disposizione due voti nelle prossime elezioni regionali: uno per eleggere il Presidente e l'altro per scegliere due Consiglieri; parlo di due voti perché è possibile votare un candidato Presidente e esprimere la preferenza per due Consiglieri di genere diverso, appartenenti a una (stessa) lista anche che appoggia un altro candidato Presidente.
Mentre è possibile rinunciare al secondo voto e mantenere solo il primo, non si può dare il secondo e non dare (di fatto) il primo.

Comincio dal primo voto: dei sette candidati solo tre hanno delle chance di essere eletti; gli altri quattro nessuna.
Come dicevo può non essere necessario votare per chi ha la possibilità di vincere questa volta: si può scegliere un candidato perché, dandogli forza, potrà ripresentarsi o una lista perché, dandole forza, potrà ben comportarsi in un'altra elezioni, anche di rango diverso.
Ma - diciamola tutta - la spinta a scegliere di votare chi può vincere (perché è meglio o perché il possibile rivale è molto peggio) è ragionevolmente forte.

Dei tre candidati, uno appartiene a uno schieramento che - con ancor più forza in questi ultimi tempi - mi è assolutamente estraneo (anche se nelle undici - sic! - liste che lo sostengono ci sono persone per bene che conosco).
Un altro non lo conosco, appartiene a un movimento che io non demonizzo ("vergin di servo encomio e di codardo oltraggio") e che per davvero - sino a un certo momento almeno - è stato utile per la nostra democrazia; se fosse prevedibile una "finale" con il candidato leghista penso che nessuno dovrebbe escludere a-priori  di votarlo.
Il terzo ho avuto modo di conoscerlo un poco e mi pare di poter dire che è stato ed è un buon Sindaco (per quel che un Sindaco può fare); mi è simpatico e lo voterei volentieri.
Se non fosse ...
Se non fosse che il suo schieramento è "dominato" da un partito che non me la sento di votare (tra l'altro le sette liste "strumentali" accolgono, molte di esse, degli iscritti a quel partito, che non potendo farsi eleggere in casa, ci provano fuori).
Intendiamoci io penso che gli elettori e gli iscritti del PD siano in larghissima parte persone per bene e che siano imprescindibili per un futuro di progresso nel nostro Paese. Ma credo che la direzione di quel partito lo abbia portato a fare scelte inaccettabili; lo dico con rammarico, ma penso che i decreti  Minniti - Orlando siano davvero riprovevoli e che sia difficile -avendoli sostenuti - opporsi con qualche credibilità ai decreti Salvini.
Inoltre - per le questioni che conosco - penso che l'esperienza di governo regionale del Professor Pigliaru (che è una bravissima persona, di sicura onestà e disinteresse personale) sia da considerarsi negativa o almeno insufficiente (se avanza tempo dirò perché).
Insomma votando per Zedda, se vincerà, avremo in Consiglio regionale 33 deputati che - temo - per la gran parte (più del vecchio Consiglio) saranno esponenti "non pentiti" del PD.

Ciononostante, se - come è probabile - la sfida finale dovesse essere Lega vs. PD (lo so che formalmente Solinas non è della Lega e Zedda non è del PD, ma la "trazione" è quella) ci sono ragionevoli "spinte" a votare per il Sindaco di Cagliari.
Se la finale si profilasse invece tra Lega e 5* ci sono ragionevoli "spinte" a votare per il candidato del  Movimento.
Tra l'altro penso che gli elettori del Movimento siano in larghissima parte imprescindibili per un futuro di progresso in questo Paese.

Poi c'è il secondo voto.
Qui le cose si complicano.
Conosco moltissime persone che stimo e cui voglio bene in diverse liste di almeno tre schieramenti e ne stimo altre in liste di altri tre (ed è solo per mia ignoranza che non ne conosco nel settimo).
Alcune di queste mi sono particolarmente care. Temo che nessuna di esse abbia possibilità di essere eletta.
Dico in primo luogo che mi piacerebbe che la lista di Autoderminatzione arrivasse al quorum (che è del 5% per la lista); temo che siamo un po' troppo lontani dall'obiettivo, il che non è una ragione sufficiente per non votarli, ma c'è da rifletterci.
Anche la lista di Sinistra Sarda mi piacerebbe facesse il quorum, ma penso che siano altrettanto lontani.
A proposito: faccio fatica a capire che queste due liste non si siano messe insieme.

E poi nelle liste strumentali in appoggio a Zedda c'è della splendida gente, ma temo che quelli che mi piacciono di più non saranno eletti, il che non è una ragione sufficiente per non votarli, ma - ripeto -c'è da rifletterci.
Mentre potrebbero essere elette persone che non conosco bene, ma che stimo, nel Movimento, ed avere una forte presenza dei 5* in Consiglio Regionale non sarebbe male.
Quindi ho dei dubbi. Mi piacerebbe parlarne.

Capisco chi non considera il voto prevalentemente una scelta razionale.
E che non se la sente di votare o di far discendere la scelta da considerazioni razionali e da calcoli.
Ma - se non si sopravvaluta il voto - non riesco a fare altro che una scelta ponderata.
Il voto è indispensabile in democrazia, ma non è il solo strumento della democrazia, come sappiamo.

Ora è abbastanza strano che soprattutto chi - nei fatti - la identifica con il voto non sia angosciato dal fatto che per diverse ragioni, non ultima quella dei meccanismi elettorali, i cittadini non vadano a votare.
Alle ultime suppletive per l'elezione del parlamentare della città metropolitana di Sassari ha votato il 15,5% degli aventi diritto.
Ricordate che i nemici del proporzionale ci raccontavano che i collegi uninominali avrebbero rafforzato la partecipazione per il legame tra parlamentari e territorio?
Ora il 15% di partecipazione al voto è davvero un segnale straordinariamente negativo, tanto che sarebbe bello che il vincitore (che tutti sanno essere una persona per bene) facesse un gesto di significato politico rivoluzionario non accettando l'elezione.
Voglio dire che - a mio avviso - ogni sistema elettorale che scoraggi la partecipazione, limiti la rappresentanza, incoraggi la leadership personalistica ha qualche deficit di democrazia.
Ovvero rende meno utile il voto.
Chi non vorrebbe che il suo voto fosse allo stesso tempo utile e convinto?
Solo sistemi fortemente proporzionali rendono più facile che questo avvenga.
L'unica ragione per sfavorire rappresentanza e partecipazione al voto sta nel favorire le élite.

Se il sistema elettorale sardo fosse proporzionale (anche con un ragionevole premio di "governabilità") potrebbe essere più facile che il voto desiderato e il voto utile coincidessero.
Tra l'altro esistono meccanismi che, a valle delle elezioni, possono rafforzare la governabilità.

Dovrei dire per quali ragioni non ho condiviso molte delle scelte della Giunta presieduta dal Professor Pigliaru.
Lo posso fare da "esperto" per le (non) scelte sui temi urbanistici, da  utente  (e un po' esperto) sui temi della accessibilità e mobilità, da "forte" utente sui temi della sanità, da cittadino consapevole sui temi della "partecipazione".
Ma forse serve un post a parte.
Anzi serve proprio.
A prestissimo.






martedì 14 maggio 2019

Per Ada

Quattro anni fa molte importanti città in Spagna, a partire dalla capitale Madrid, hanno eletto Sindaci di rinnovamento e di progresso.
In genere hanno dovuto operare senza avere la maggioranza assoluta, in condizioni difficili, con l'ostilità del governo centrale e delle Comunità autonome.
In genere hanno operato molto bene, mantenendosi fedeli, nei limiti del possibile, ai loro impegni con gli elettori.
Ci sono possibilità concrete che molti di questi governi locali vengano confermati dal voto del 26 Maggio e altri possano aggiungersi.
C'è un'amministrazione che riveste un ruolo particolarmente importante, anche dal punto di vista simbolico.
Si tratta dell'amministrazione della città di Barcellona, la capitale della Catalogna.
La Sindaca di Barcellona è Ada Colau; tra le mille difficoltà l'Alcaldessa ha governato bene, con entusiasmo, passione, coerenza ed efficacia (in questo video Ada ci ricorda cosa ha fatto in questi quattro anni).
Basta poco perché il voto del 26 Maggio la confermi come Alcaldessa,
Abbiamo proposto ad alcune colleghe e colleghi, compagne e compagni, amiche ed amici di firmare questo appello; se volete aggiungere la vostra firma, mandatemi un messaggio al mio indirizzo abcecchini@gmail.com:

I quattro anni di governo di Ada Colau nella città di Barcelona sono stati sicuramente positivi.
La sua azione ha provato concretamente a dare risposta a molti dei problemi legati alla giustizia spaziale e ai problemi delle trasformazioni urbane, con misure efficaci e sostenibili.
La Barcelona di Colau è un punto di riferimento per tutti noi che - in modi diversi . ci occupiamo della città e della qualità della vita urbana e si collega a molte esperienze municipali in Europa e nel mondo che provano a costruire il diritto alla città per tutte e tutti.
Ci auguriamo che la cittadinanza di Barcellona con il suo voto faccia in modo che l'esperienza di governo di Ada Colau e dei Comuns possa continuare. Speriamo anche che l'esperienza di Barcellona sia di ispirazione per promuovere politiche di trasformazione in altre città in Italia e nel resto d'Europa.

Grazie.

Primi firmatari:

Francesco Indovina
Ivan Blečić
Arnaldo Cecchini
Valentina Talu




sabato 3 marzo 2018

Ne è valsa la pena.

Tra pochi mesi, con due anni di anticipo, andrò in pensione.
In tutto saranno stati cinquant'anni passati in Università da studente, borsista, ricercatore, professore.
Cinquanta.
Per ragioni soprattutto personali ho deciso di anticipare.
Lo posso fare a cuor leggero perché da quest'anno - dopo anni in cui era parzialmente bloccato - il turn-over  è tornato a essere (mediamente) del 100%.

Ne è valsa la pena. Essere pagato per studiare è un privilegio raro.
Insegnare è un mestiere meraviglioso.
L'Università italiana è in difficoltà: da molti anni tutti i governi l'hanno bastonata con una combinazione di malafede, stupidità e ignoranza ("matta bestialitade") rubando un futuro ai giovani.
Ma è stata e rimane un posto in cui vi sono grandi presidi di cultura e di democrazia, mediamente una buona università.
Poi come dovunque ci sono cose che non funzionano (sempre più numerose), burocrazia forsennata (sempre più estesa), clientelismi e familismi (non rari, ma non così frequenti), fannulloni e incompetenti (abbastanza rari, ma ci sono).
C'erano e ci sono molte cose da cambiare; in particolare non ci siamo attrezzati bene al fatto che l'Università è diventata un'università di massa (meno di quanto dovrebbe) e che questo fatto è positivo, ma richiede interventi e risorse e un modo diverso di organizzare gli studi.
Perché la scuola di massa non vuol dire di bassa qualità e non implica la segregazione degli "eccellenti" dalle "merde" (è l'unica concessione alla volgarità che mi permetto).

Ieri, venerdì 2 Marzo, c'è stato il mio penultimo atto al nostro Dottorato.
Tre dei cinque neo-dottori mi avevano come mentore.
Fatemi dire che, aldilà del fatto che ho addottorato qualche decina di giovani, ogni volta per me è un'orgogliosa emozione.
Ma voglio dire di più.
Quest'anno tre dottorandi erano di formazione un filosofo, una giurista, una paesaggista (quest'ultima cittadina serba).
Non era male questa vocazione della nostra scuola di dottorato di essere "aperta": uno dei tanti pregi dell'esperienza di AAA.

Premetto che in tutti i casi avevo dei colleghi più "disciplinari" di me a fare da co-mentori: non sono un tuttologo.
Ma Nanni, Roberta e Nađa (o per essere più corretti Giovanni Campus, Roberta Guido e Nađa Beretić) pur non essendo stati miei studenti (per ovvie ragioni) mi hanno fatto l'onore di scegliermi in quanto i loro temi di ricerca intersecavano dei miei interessi culturali e, forse, sapevano che avrei studiato e imparato con loro (poi i mentori "disciplinari" ci avrebbero "messo in riga").
Hanno fatto un ottimo lavoro.
E penso che i risultati della loro ricerca siano utili (se vi interessano le ricerche, di cui non svelo i titoli, sono legati al rapporto tra arte pubblica e città, al diritto alla città, alle prospettive del parco geominerario della Sardegna; li ho detti volutamente male: se vi interessa contattateli).

Avrò ancora un paio di dottorandi che finiscono il corso a fine 2018 e uno (palestinese con Borsa del MAE) nel 2019.

Non vi racconto qui quali difficoltà hanno studenti non comunitari a mettersi in regola con la burocrazia italiana, nonostante l'illuminato buonsenso di molti poliziotti; del resto un Paese che non riesce a trovare soluzioni efficaci per far votare studenti fuori sede che volete che possa fare con studenti e dottorandi (ma anche con ricercatori) non comunitari.

Perché ho scritto questo post?
Non so; forse perché un po' mi dispiace che alla prossima discussione delle dissertazioni sarò già in pensione e un po' per farvi capire perché non posso proprio pensare di dare il mio voto a chi in questi anni ha attivamente collaborato a cercare di distruggere l'Università pubblica, specie quella del Sud.
E per dire che non ci sono riusciti e non ci riusciranno.
Non solo ne è valsa la pena.
Ne vale la pena, ne varrà la pena.
Anche per Nanni, Roberta e Nađa e per il loro futuro.

P.S.
In questi giorni, a poche ore dalle elezioni, sono state assegnate alle università e agli enti di ricerca le risorse per il reclutamento; briciole: all'Ateneo di Sassari 11 posti in tutto. Siamo proprio sicuri che non sia questo il tempo di mobilitarci?







 

venerdì 23 febbraio 2018

Votare. Ancora qualche dubbio.

Sono molti anni che non voto più con entusiasmo e parecchi che non voto più con convinzione.
Io sono un tenace proporzionalista, penso che la rappresentanza non possa essere sacrificata alla governabilità, anche se si possono studiare dei meccanismi che favoriscono la governabilità senza penalizzare (troppo) la rappresentanza.
Penso anche che nessun meccanismo elettorale possa "sciogliere" i problemi politici: come mostra ad esempio la situazione tedesca.
Che il partito di Veltroni o di Renzi abbia cercato di fare il vuoto alla sua sinistra (anche per le elezioni europee in cui - in modo assurdo - Veltroni ha imposto una soglia di sbarramento) è una delle ragioni per cui non lo voterò mai. Anche se so che ancora c'è moltissima gente per bene, con cui condivido molto, che lo vota. Spero di ritrovarmi con loro.
A proposito non sono da molto tempo troppo interessato alle etichette "destra-sinistra": mettiamola così "chi sta con gli oppressi - chi sta con gli oppressori", ma ci sono molte sfumature e molte dimensioni.

Ma veniamo a noi. Per chi votare?
Mi è capitato che il mio voto non contribuisse ad eleggere deputati (sin dal mio primissimo voto per Il Manifesto nel 1972): succede.
Ma in ogni caso avevo sperato che servisse.
Decidere di dare un voto che sicuramente non serve ad eleggere nessuno non mi convince; anche se mi accontento di un'esigua speranza.

Io di mio, di primo acchito per così dire, voterei Potere al popolo
Se riuscissero a mandare in Parlamento un manipolo di una ventina di deputati /senatori non cambierebbe il mondo, ma sarebbe un bel segnale e questi parlamentari - per quel poco che si può - sarebbero utili a tutti. Del resto loro non pensano che votando si cambia il mondo.
Siccome poi non è che andranno al governo, del loro programma, a volte ingenuo e semplicistico, non mi curo moltissimo; sarebbero un manipolo di tosti oppositori e tanto mi basta.
Ma il se è un grande se. In questo momento la speranza è esigua.

Ma prima di continuare dico per chi sicuramente non voto e perché.
Per nessuno dei partiti della destra, per ragioni sin troppo ovvie: il fatto che oltre un terzo degli italiani non lo trovino ovvio mi costringe a interrogarmi, ma non mette in dubbio le ragioni del mio no.

Sicuramente non voterò per chi ha governato nell'ultima legislatura (seppur non ci fosse la ragione esposta all'inizio); anche solo guardando quel che hanno fatto contro l'Università e la Scuola per restare nel mio specifico (e per tacere di tanto altro) non potrei neppure prendere in considerazione l'ipotesi di votarli.
Né il partito principale di quella coalizione, in cui pure sono candidate alcune persone per bene e più che per bene che spero l'esito di questo voto liberi dalla gabbia in cui si sono rinchiusi, né la lista europeista che lo supporta che ha dei pregi, ma che - in quasi tutto il mondo - sarebbe una lista della destra (diciamo della destra libertaria).

E qui mi viene un problema: potrei votare per Liberi e Uguali, un lista di centrosinistra che manderà in Parlamento una quarantina di persone, di cui una ventina ragionevolmente radicali e per bene. Ma posso io dimenticare che molti di loro hanno votato sino a poco tempo fa con il governo i peggiori provvedimenti, molti di loro hanno votato per il fiscal compact in Costituzione, alcuni di loro (guidati da uno dei loro veri capi) hanno portato l'Italia in guerra in violazione dall'art. 11 della Costituzione? Forse posso farlo, ma mi costa. Mi costerebbe.

Non credo che voterò per 5 Stelle, anche se al Senato l'altra volta li ho votati (era l'unico voto utile per diminuire la rappresentanza della coalizione berlusconiana): mi va bene che abbiano un buon risultato, ma preferisco eleggere qualcuno che ha posizioni politiche che condivido nel loro insieme; cosa che non è con le posizioni di questo movimento. Anche se, a dire il vero, qui in Sardegna in particolare, il voto per Cinque Stelle sarebbe un vero voto utile a sfavore della destra (la legge elettorale non l'ho fatta io!). Tuttavia l'idea del loro candidato a Presidente del Consiglio di istituire un Ministero della Meritocrazia, se confermata, mi impedisce persino di pensare di voltarli

In Sardegna c'è un'opzione ulteriore, per molti aspetti affascinante: quella della lista indipendentista  (diciamo così) Progetto Autoderminatzione.
In questi miei ormai lunghi anni di residenza in Sardegna, anche se non sono diventato sardo, mi sono convinto che questa terra ha bisogno di autogoverno; non sono sicurissimo che lo meriti, ma sì che ne ha bisogno.
Se guardiamo solo allo stato di accessibilità e mobilità nella nostra terra questa affermazione è dimostrata. E non finisce qua.
Gli è però che io non sono nazionalista: e non solo perché con i nazionalismi si sa dove si comincia e non si sa dove si va a finire. E non solo perché sono internazionalista. E anche perché come "non mi sento italiano" (con Gaber) non vedo perché dovrei sentirmi sardo (e poi sono troppo vecchio per imparare Sa Limba).
Anche nel caso della Catalogna, ad esempio, io sarei per una Repubblica federale dei popoli della Spagna (o delle nazioni della Spagna) di cui la Catalogna sia uno dei componenti (1).
Vero è che l'Europa, che a me - come sogno - piacerebbe potesse diventare una Repubblica federale, potrebbe favorire processi di scomposizione e ricomposizione, ma non riesco a vedermi come nazionalista in nessun caso.
Ma un bel successo di Autodeterminatzione sarebbe utile, anche in vista delle prossime regionali. In quelle elezioni probabilmente questa lista, se avesse un buon risultato alle politiche, potrebbe essere l'opzione migliore e persino l'opzione vincente (anche se, nel caso si profilasse questa eventualità, cercheranno di cambiare la legge elettorale).
Il loro leader dice di non preoccuparci per il voto utile; figurarsi se non lo capisco, ma un pochino sì mi preoccupo, mi spiace.
Se non capisco male, a meno di non vincere in un collegio uninominale, possibilità di eletti alla Camera non ce ne sono. Al Senato, oltre  a questa opzione vi è quella del 20% a livello regionale; un obiettivo molto ambizioso, troppo ambizioso, temo. Ma forse un'esigua speranza c'è.

Alla fin fine mi verrebbe di votare Spes contra spem e di fare una scommessa folle: Potere al popolo o Autodeterminatzione, magari un voto all'uno e un voto all'altro. Sperando in un improbabile 3% e in un improbabile 20%. O almeno in qualcosa che si avvicini a queste percentuali.
Ma ci voglio pensare e forse mi rassegnerò a due voti per Liberi e Uguali.
Ma ci voglio pensare davvero.

Amiche e amici delle varie opzioni che ho considerato possono aiutarmi a decidere?
Con un dibattito pacato, se possibile. Grazie.


(1) Catalans! Les forces monàrquiques i feixistes que d'un temps ençà pretenien trair la República, han aconseguit el seu objectiu i han assaltat el Poder. En aquesta hora solemne, en nom del Poble i del Parlament, el Govern que presideixo assumeix totes les facultats del Poder a Catalunya, proclamo l'Estat Català de la República Federal Espanyola, i en restablir i fortificar la relació amb els dirigents de la protesta general contra el feixisme, els invita a establir a Catalunya el Govern Provisional de la República, que trobarà en el nostre poble català el més generós impuls de fraternitat en el comú anhel d'edificar una República Federal lliure i magnífica. Catalans! L'hora és greu i gloriosa. L'esperit del president Macià, restaurador de la Generalitat, ens acompanya. Cadascú al seu lloc i Catalunya i la República al cor de tots. Visca Catalunya! Visca la República! Visca la llibertat!
Lluís Companys i Jover











lunedì 5 febbraio 2018

Antifascisti. Perché serve esserlo. Anche riguardo alla lapide della vergogna.

Credo che avessero ragione quanti di noi hanno sempre pensato che non  valesse la pena di mollare la presa sulla questione del contrasto al fascismo, quello "eterno" o "perenne" (per dirla con Umberto Eco) e quello contingente.
Credo che abbiamo ragione.
Sono numerosi i fatti, piccoli e grandi, che da molto tempo e con sempre crescente gravità mostrano che diversi tipi di azioni fasciste, più o meno squadriste, si presentano sulla scena.
In qualche modo queste azioni sono state legittimate dall'acquiescenza di molti media e di alcune forze politiche e dalla distrazione di altri.

Una premessa voglio farla: io credo molto nella libertà di espressione sicché non mi hanno mai convinto del tutto le soluzioni censorie,  sia che riguardassero i cosiddetti "revisionisti" sia i cosiddetti "odiatori" in rete (gli haters).
Mi spingo sino a dire che a tutti coloro che esprimono un'idea si deve lasciarlo fare, salvo che non commettano un reato altrimenti normato (calunnia o diffamazione ad esempio).

Un'altra premessa è che credo di poter affermare convintamente che esistono e sono esistiti fascisti "per bene". Alcuni li ho conosciuti di persona.
Non so ad esempio se Piero Borsellino (che non ho conosciuto) ha continuato a essere fascista per tutta la vita, ma sicuramente lo è stato per molta parte di essa: ed era sicuramente una persona per bene.
Sono disposto ad accettare le aberrazioni e le perversioni di ogni persona, se e in quanto non violino operativamente i diritti degli altri.

Diritto di parola per tutti i fascisti, rispetto per alcuni fascisti, per riassumere.

Ma nessuno spazio politico per le organizzazioni fasciste, che vanno contrastate con tutti i mezzi necessari.
Vuol dire, ad esempio,  che i media non dovrebbero dar loro nessuna visibilità (altro che pubblicare i comunicati Forza Nuova e Casa Pound), che le amministrazioni pubbliche dovrebbero far di tutto per non concedere loro spazi e luoghi pubblici, che le forze politiche dovrebbero rifiutare ogni interlocuzione, che i cittadini dovrebbero mobilitarsi contro le loro manifestazioni.

In generale io non credo molto all'esistenza di situazioni che possano conciliare le parti diverse (cosiddette scelte condivise o bipartisan).
O con gli sfruttati o con gli sfruttatori.
Ed è vero che il fascismo e il nazismo sono stati sostenuti e finanziati dagli sfruttatori senza la cui complicità e il cui appoggio non avrebbero potuto vincere.
Ma a un certo punto fascismo e nazismo sono andati ben oltre, da strumento sono diventati agente attivo, anche oltre, ben oltre gli interessi che li avevano sostenuti.

Da quel momento l'antifascismo non si può più identificare con l'anticapitalismo.
Anche se non credo che si debba sacrificare l'anticapitalismo all'antifascismo.

Voglio dire che le due parti in conflitto sui temi della giustizia e dell'eguaglianza (una volta si sarebbe detto la sinistra e la destra) debbono e possono opporsi insieme al fascismo, senza dimenticare chi sono.

Questa è la ragione che mi spinge su questa questione a stare insieme a tutti quelli che ci stanno; e a chiedere a tutti quelli che rifiutano il fascismo di stare insieme per combatterlo.

C'è una cosa che dovremmo fare subito qui ad Alghero. Tutti dovremmo volerla fare.
Molti ricorderemo la vicenda della "lapide della vergogna".
Come si vede nella foto in questa lapide sono elencati i caduti con indicata una "collocazione":



Tra esse sono significative due: Partig. e R.S.I.
Ma proseguiamo; nella foto seguente si legge la dedica:


Credo che sia evidente che c'è qualcosa di sbagliato.
La prima volta che posi la questione, oltre ad alcuni episodi di squadrismo verbale, mi si è obiettato che a tutti i morti si deve la pietà.

Ma non è questa la questione.
La lapide dice che quelle persone, tutte quelle persone, "donarono la vita perché l'Italia fosse libera e giusta".
E questo è oltraggiosamente falso.
Giustizia e libertà erano tra le motivazioni dei "partig.", non tra quelle dei militari di leva, per cui forse si può parlare di obbedienza o di senso del dovere, né tanto meno degli R.S.I., alcuni dei quali forse si sono battuti per l'onore e il rispetto della parola data.

Insomma se di pietas si deve parlare si possono elencare in una lapide tutte le vittime, militari e civili, senza quelle ridicole e contorte "affiliazioni" e limitarsi a scrivere "Alghero ai suoi caduti".
Ma dire che un repubblichino, sia che fosse un convinto sostenitore del nazismo, sia che fosse volontario per ragioni diverse, sia che fosse inconsapevole o arruolato a forza, è caduto "perché l'Italia fosse libera e giusta" è inaccettabile.
La pietà per tutti i morti non vuol mai dire che le loro ragioni fossero le stesse ed egualmente giuste.

Non aver modificato questa lapide da quando il problema è stato posto parecchi anni fa è una responsabilità grave delle tre amministrazioni che si sono succedute da allora.
Anche se è tardi, forse non è troppo tardi.
O forse sì.




lunedì 20 novembre 2017

Non pensate all'elefante. (Anche perché l'elefante non c'è)

In questi giorni sui media vi è una confusa discussione sul che fare (a sinistra) per le prossime elezioni.
Si parla di elezioni, quindi le questioni "tecniche" pur non essendo le uniche rilevanti, sono comunque rilevanti.
Intanto è importante rilevare che una lista che si presenti da sola ha bisogno del 3% dei voti per conquistare seggi nella quota proporzionale (che rappresenta circa i 3/5 del totale dei seggi).
Nella restante quota, quella maggioritaria, in ognuno dei collegi uninominali vince la lista o la coalizione che prende anche solo un voto di più delle altre: in una corsa a tre, con qualche "incomodo", questo può volere dire che in una circoscrizione si passa anche con il 30% dei voti o poco più.
Le altre tecnicalità (ritagliate sulle convenienze di entrambe le due coalizioni possibili in modo persino più astuto e prevaricante della legge elettorale vigente, il che fa sì che l'attuale legge si possa ribattezzare Porcellum Plus) le trovate qui.

Secondo ogni ragionevole previsione le due coalizioni e una lista dovrebbero prendere circa il 90% dei voti totali, più o meno ciascuna con una percentuale di voto analoga.
Questi due fatti fanno sì che eventuali vantaggi di qualche punto percentuale dell'uno sugli altri si traducano in spostamenti modesti, anche se non indifferenti, di seggi (diciamo un ventina al massimo).
Quindi i tre contendenti avranno alla Camera circa 200 seggi a testa, una trentina circa potendo andare ad altre liste.
Con questa legge il Senato avrà una composizione analoga.
Se ne deduce che nessuno dei tre contendenti avrà la possibilità - neppure remotissima - di ottenere una maggioranza e che ci sarà una forte instabilità, la cui unica possibile risoluzione sarà che una coalizione riesca ad allearsi con un pezzo dell'altra coalizione (ipotesi numericamente improbabile, ma non impossibile con un'opportuna campagna acquisti).
Poiché una coalizione (diciamo la A) avrà la gran parte dei seggi attribuiti a un unico partito, mentre l'altra (la B) li spartirà tra più di due (diciamo in proporzioni 4, 4, 2) diciamo che questa eventualità che partirebbe da una base minima di più di 250 seggi, dovrebbe essere "dominata" dalla coalizione A, che seppure non esprimesse il Presidente del Consiglio, sicuramente potrebbe "indicarlo".

Del resto l'instabilità può essere ritardata o attenuata da sistemi elettorali e meccanismi istituzionali, ma non può essere rimossa quando corrisponde a una vera instabilità nell'espressione della volontà popolare, come dimostra la difficoltà di questi giorni della Germania, che pure ha un sistema elettorale molto efficiente e che ha funzionato per decenni.

Ciò premesso, di cosa dobbiamo preoccuparci? O meglio di cosa mi preoccupo io?
Io mi preoccupo dell'astensionismo. Alle precedenti politiche ha votato il 75% degli italiani. Scendere sotto il 70%, come potrebbe succedere, sarebbe un dato molto negativo.
Un'eventuale forza politica del cambiamento dovrebbe occuparsi in primo luogo di questo.
Non è un compito impossibile.

Io mi preoccupo che in Parlamento possa essere assente una forza politica del cambiamento; tuttavia questa sciagurata legge elettorale rende relativamente semplice che una simile rappresentanza ci sia (basta una lista che prenda il 3%).
Ho usato l'espressione "forza politica del cambiamento" perché pur riconoscendomi nella storia e nei valori della sinistra, non mi pare rilevante usare, qui ed ora, questa etichetta.
Mentre sì: diritti del lavoro, diritti civili, politiche pubbliche contro la povertà, investimenti in scuola, università e ricerca, mi paiono tutti punti di una politica del cambiamento che è spesso agli antipodi delle politiche delle due coalizioni e che non è coerentemente espressa dall'altra lista.
Mi piacerebbe che ci fosse una forza politica innovativa, radicale, democratica e senza il fardello di un recente passato spesso inaccettabile (per capirci con dirigenti responsabili di aver portato l'Italia in guerra e sostenuto il voto - unanime - sulla Riforma della Costituzione sul pareggio di bilancio)? Sì. Mi piacerebbe.
Ma mi accontento di quel che c'è.
Se una lista del cambiamento (anche un cambiamento parziale) avesse il tra il 5 e il 10% dei voti non sarebbe tutto, ma sarebbe un po'.

Come sono messe le forze politiche del cambiamento (diciamo le "sinistre" lato sensu) in Europa e nel mondo?
Diciamo così così.
Ma in generale ci sono in molte parti semi di un cambiamento possibile.
I vecchi sistemi bipolari si disgregano e questo è un bene.
Forze di cambiamento, seppur eterogenee, crescono o mantengono le  posizioni. Tutto sommato la destra estrema può essere contenuta (un caso a parte sono i paesi dell'Est Europa) se e quando si fa barriera (anche culturale) contro di essa.

Una cinquantina di parlamentari in Italia, specie se appaiono ragionevolmente radicali e se non sono puro ceto politico, possono essere utili. Anche per scompaginare i giochi.
Poi vedremo cosa fare davvero.
Per ora mi accontenterei.

Come vedete: l'elefante non c'è.