sabato 11 gennaio 2025

Qualche riflessione; riprendo il mio blog

 

In questi ultimi anni mi è capitato di scrivere poche cose, quasi tutte su richieste; in genere brevi testi.

L'ultima richiesta è questa per una mostra allo IUAV:

"Datapoiesis: una genealogia sulla costruzione di modelli e paesaggi di dati nella progettazione"
mostra a cura di Irene Cazzaro e Luca Nicoletto

Biblioteca IUAV, sede dei Tolentini, dal 15 gennaio al 3 febbraio 2025.

Ecco quel che ho risposto.

Grafi e modelli matematici: qual è il valore di questi strumenti per la pianificazione urbana? Come si lega a questo il suo lavoro?

Credo sia abbastanza evidente che in tutti settori l’uso di modelli e tecniche di analisi, di interpretazione e di previsione sia inevitabile e fecondo. La pianificazione in generale e quella urbana e territoriale in particolare si sono sempre giovate di strumenti e tecniche quantitative, a volte avendo un ruolo importante nell’introdurle e raffinarle. Con la necessaria attenzione a non attribuire ai modelli più di quanto possano dare e con l’avvertenza che la pianificazione è legata alla previsione e che – in senso stretto - la previsione è impossibile, possiamo dire che senza modelli quantitativi nessuna politica efficace di gestione delle trasformazioni del territorio è possibile.

Personalmente ho lavorato quasi esclusivamente a utilizzare, inventare, sviluppare tecniche rigorose (prevalentemente quantitative, ma non solo) di descrizione, analisi e previsione. 

 

Come IUAV rispondeva e alimentava questo dibattito negli scorsi decenni?

La mia esperienza è soprattutto legata a Ca’ Tron e quindi non ho una visione approfondita di tutto lo IUAV. Ciò premesso devo dire che le varie anime del coté urbanistico dello IUAV (e mi limiterò a questo) hanno da sempre avuto un’attenzione particolare per l’uso dei metodi quantitativi e anche hanno maturato una riflessione critica sui loro limiti e le loro potenzialità. Il corso di laurea di Urbanistica è stato pensato da Giovanni Astengo non solo come intrinsecamente interdisciplinare, ma anche con un ruolo rilevante delle discipline quantitative. Solo questo spiega come e perché un laureato in Fisica come me  ha trovato un suo spazio come borsista e ha poi sviluppato il proprio percorso allo IUAV.

Una tappa molto rilevante di questo percorso è stato il convegno internazionale SIGIS (SImulazione e GIochi di Simulazione) dell’Ottobre 1985 voluto da Francesco Indovina e da me organizzato: i contributi sono raccolti nel volume Simulazione. Per capire e intervenire nella complessità del mondo contemporaneo e pur invecchiati sono ancora attuali; da SIGIS è nato il laboratorio Stratema. Pochi anni dopo – per impulso e coordinamento di Luigi Di Prinzio - nasceva l’esperienza dei corsi di Sistemi Informativi Territoriali, una storia lunga e rilevante a livello nazionale.

 

Si potrebbe provare a ricostruire la storia di una parte della biblioteca Astengo con l'obiettivo di tenere traccia di questa tradizione?

Non saprei rispondere: Credo che si possa ricordare il ruolo che due colleghi che hanno sviluppato in modo creativo e utile tecniche e metodi quantitativi hanno avuto nelle attività collegate alla biblioteca (la biblioteca Astengo era un vero “ecosistema” collegato a diversi centri di documentazione): parlo di due colleghi purtroppo scomparsi Silvio Griguolo e Paolo Santacroce.

In un certo periodo la dotazione di testi e materiali relativi ai metodi quantitativi e ai modelli urbani presenti a Ca’ Tron era davvero significativa e ampia.


Come questa tradizione influenza il dibattito attuale?

Manco da un quarto di secolo dallo IUAV e quindi la mia risposta non sarà specifica. Ho avuto un’interessante esperienza come Presidente di Commissione per l’ASN del settore ICAR/20:  di qualche anno fa, ma credo che le conclusioni che posso trarne sono ancora valide (forse di più): il numero di candidati e di abilitati con un approccio fortemente orientato alle tecniche e ai modelli quantitativi è assai rilevante e la loro produzione è di buona qualità; tuttavia pochi sono coloro che riflettono sul rapporto tra tecniche e principi della “disciplina”, sicché le pratiche della pianificazione usano sì le tecniche, ma sovente senza pensare che esse non sono meri strumenti; questa divaricazione è pericolosa.

C’è da dire che nei due Dipartimenti di Ca’ Tron questo rapporto tra tecniche e teorie era discusso e praticato.

Aggiungo che quando parliamo di tecniche e modelli quantitativi forse siamo un po’ imprecisi: dovremmo parlare di metodi e linguaggi rigorosi: penso al lavoro, accademicamente sottovalutato, di Virginio Bettini e ai suoi contributi alla valutazione, sia dal punto di vista degli strumenti che del loro inquadramento teorico.

 

Come vede il futuro dell’urbanistica, specialmente in relazione all’uso crescente dell’intelligenza artificiale?

Per completare il ragionamento precedente è mia opinione che la straordinaria potenza delle nuove tecnologie non possa che modificare i paradigmi della pianificazione.

Pianificazione è collegata a previsione: se non si ragiona sul concetto di previsione e sul carattere doppiamente complesso dei sistemi sociali e territoriali, la pianificazione resta legata a modalità deterministiche e inefficaci; con l’amico e collega Ivan Blečić abbiamo proposto di muoverci verso una pianificazione antifragile che consenta l’azione orientata al futuro senza costringerla a una previsione forti; dato che il futuro non si può prevedere in modo preciso, per confrontarci con i futuri possibili sono utili buoni modelli e diversi modelli (e per un buon modello devono anche buone teorie)

Fare i conti con la complessità è possibile solo ripensando ai modelli che la descrivono e la comprendono (il premio Nobel a Giorgio Parisi con questo ha a che fare): in questo senso soprattutto - e non solo per l’uso esaustivo e creativo di imponenti basi di dati – l’IA può dare un contributo eccezionale.

 

Come questi strumenti (dai modelli matematici degli anni '70 fino all'intelligenza artificiale) possono contribuire alla crescita delle nostre città, soprattutto ad un livello sociale e culturale?

Rispondo con un esempio. Noi abbiamo più o meno tutti accettato un modello lineare della nascita della storia e della città in quella storia: si passa dalle comunità di cacciatori-raccoglitori a società agricole che originano un surplus, la divisione del lavoro, le gerarchie, le città. Nei fatti la preistoria è durata qualche decina di migliaia di anni e sappiamo che ne sono successe di cose: recenti scoperte archeologiche, rese possibili da un uso intenso di nuove tecnologie, ci mostrano che sono esistiti insediamenti umani di grandi dimensioni che, per uno o più aspetti, non corrispondono a quello schema; quello che si può fare con l’IA è riscostruire la storia della preistoria, magari scoprendo che non c’è stato un solo cammino, che molti altri cammini  ci sono stati e che hanno prosperato e durato: un altro mondo è possibile, un’altra città è possibile, anche perché un altro mondo e un’altra città sono stati.

Ecco il contributo maggiore che questo “strumenti” possono dare: la città non è destinata per forza a essere prigioniera del mercato e della rendita (in realtà il mercato e la rendita stanno portandola verso l’estinzione).

 
Quale crede che sarà l’evoluzione futura più importante nella pianificazione urbanistica?

Non sono ottimista. Come dicevo senza che vengano rimessi in discussione i paradigmi  della pianificazione non ci saranno evoluzioni significative o positive. Certo l’uso degli “strumenti” renderanno più facili ed efficaci le pratiche (e questo è un bene), ma senza capire e interpretate la complessità e basare su questo la teoria della pianificazione e senza un insieme di movimenti e un pensiero  che  mettano in discussione la logica del mercato e della rendita, meglio di oggi non si farà.