In questi ultimi anni mi è capitato di scrivere poche cose, quasi tutte su richieste; in genere brevi testi.
L'ultima richiesta è questa per una mostra allo IUAV:"Datapoiesis: una genealogia sulla costruzione di modelli e paesaggi di dati nella progettazione"
mostra a cura di Irene Cazzaro e Luca Nicoletto
Biblioteca IUAV, sede dei Tolentini, dal 15 gennaio al 3 febbraio 2025.
Ecco quel che ho risposto.
Grafi e modelli matematici: qual è il valore di questi strumenti per la pianificazione urbana? Come
si lega a questo il suo lavoro?
Credo sia abbastanza evidente che in tutti settori l’uso di modelli e tecniche di analisi, di interpretazione e di previsione sia inevitabile e fecondo. La pianificazione in generale e quella urbana e territoriale in particolare si sono sempre giovate di strumenti e tecniche quantitative, a volte avendo un ruolo importante nell’introdurle e raffinarle. Con la necessaria attenzione a non attribuire ai modelli più di quanto possano dare e con l’avvertenza che la pianificazione è legata alla previsione e che – in senso stretto - la previsione è impossibile, possiamo dire che senza modelli quantitativi nessuna politica efficace di gestione delle trasformazioni del territorio è possibile.
Personalmente ho lavorato quasi esclusivamente a utilizzare, inventare, sviluppare tecniche rigorose (prevalentemente quantitative, ma non solo) di descrizione, analisi e previsione.
Come IUAV rispondeva e
alimentava questo dibattito negli scorsi decenni?
La mia esperienza è soprattutto legata a Ca’ Tron e quindi non ho una
visione approfondita di tutto lo IUAV. Ciò premesso devo dire che le varie
anime del coté urbanistico dello IUAV
(e mi limiterò a questo) hanno da sempre avuto un’attenzione particolare per
l’uso dei metodi quantitativi e anche hanno maturato una riflessione critica
sui loro limiti e le loro potenzialità. Il corso di laurea di Urbanistica è
stato pensato da Giovanni Astengo non solo come intrinsecamente
interdisciplinare, ma anche con un ruolo rilevante delle discipline
quantitative. Solo questo spiega come e perché un laureato in Fisica come
me ha trovato un suo spazio come
borsista e ha poi sviluppato il proprio percorso allo IUAV.
Una tappa molto rilevante di questo percorso è stato il convegno
internazionale SIGIS (SImulazione e GIochi di Simulazione) dell’Ottobre 1985
voluto da Francesco Indovina e da me organizzato: i contributi sono raccolti
nel volume Simulazione. Per capire e
intervenire nella complessità del mondo contemporaneo e pur invecchiati
sono ancora attuali; da SIGIS è nato il laboratorio Stratema. Pochi anni dopo – per impulso e coordinamento di Luigi Di
Prinzio - nasceva l’esperienza dei corsi di Sistemi
Informativi Territoriali, una storia lunga e rilevante a livello nazionale.
Si potrebbe provare a
ricostruire la storia di una parte della biblioteca Astengo con l'obiettivo di
tenere traccia di questa tradizione?
Non saprei rispondere: Credo che si possa ricordare il ruolo che due
colleghi che hanno sviluppato in modo creativo e utile tecniche e metodi
quantitativi hanno avuto nelle attività collegate alla biblioteca (la
biblioteca Astengo era un vero “ecosistema” collegato a diversi centri di documentazione):
parlo di due colleghi purtroppo scomparsi Silvio Griguolo e Paolo Santacroce.
In un certo periodo la dotazione di testi e materiali relativi ai metodi
quantitativi e ai modelli urbani presenti a Ca’ Tron era davvero significativa
e ampia.
Come questa tradizione influenza il
dibattito attuale?
Manco da un quarto di secolo dallo IUAV e quindi la mia risposta non sarà
specifica. Ho avuto un’interessante esperienza come Presidente di Commissione
per l’ASN del settore ICAR/20: di
qualche anno fa, ma credo che le conclusioni che posso trarne sono ancora
valide (forse di più): il numero di candidati e di abilitati con un approccio
fortemente orientato alle tecniche e ai modelli quantitativi è assai rilevante
e la loro produzione è di buona qualità; tuttavia pochi sono coloro che
riflettono sul rapporto tra tecniche e principi della “disciplina”, sicché le
pratiche della pianificazione usano sì le tecniche, ma sovente senza pensare
che esse non sono meri strumenti; questa divaricazione è pericolosa.
C’è da dire che nei due Dipartimenti di Ca’ Tron questo rapporto tra
tecniche e teorie era discusso e praticato.
Aggiungo che quando parliamo di tecniche e modelli quantitativi forse siamo
un po’ imprecisi: dovremmo parlare di metodi e linguaggi rigorosi: penso al
lavoro, accademicamente sottovalutato, di Virginio Bettini e ai suoi contributi
alla valutazione, sia dal punto di vista degli strumenti che del loro
inquadramento teorico.
Come vede il futuro
dell’urbanistica, specialmente in relazione all’uso crescente dell’intelligenza
artificiale?
Per completare il ragionamento precedente è mia opinione che la
straordinaria potenza delle nuove tecnologie non possa che modificare i
paradigmi della pianificazione.
Pianificazione è collegata a previsione: se non si ragiona sul concetto di
previsione e sul carattere doppiamente complesso dei sistemi sociali e
territoriali, la pianificazione resta legata a modalità deterministiche e
inefficaci; con l’amico e collega Ivan Blečić abbiamo proposto di muoverci verso una pianificazione antifragile che consenta
l’azione orientata al futuro senza costringerla a una previsione forti; dato
che il futuro non si può prevedere in modo preciso, per confrontarci con i
futuri possibili sono utili buoni modelli e diversi modelli (e per un buon
modello devono anche buone teorie)
Fare i conti con la complessità è possibile solo ripensando ai modelli che
la descrivono e la comprendono (il premio Nobel a Giorgio Parisi con questo ha
a che fare): in questo senso soprattutto - e non solo per l’uso esaustivo e
creativo di imponenti basi di dati – l’IA può dare un contributo eccezionale.
Come questi strumenti
(dai modelli matematici degli anni '70 fino all'intelligenza artificiale)
possono contribuire alla crescita delle nostre città, soprattutto ad un livello
sociale e culturale?
Rispondo con un esempio. Noi abbiamo più o meno tutti accettato un modello
lineare della nascita della storia e della città in quella storia: si passa
dalle comunità di cacciatori-raccoglitori a società agricole che originano un surplus, la divisione del lavoro, le
gerarchie, le città. Nei fatti la preistoria è durata qualche decina di
migliaia di anni e sappiamo che ne sono successe di cose: recenti scoperte
archeologiche, rese possibili da un uso intenso di nuove tecnologie, ci
mostrano che sono esistiti insediamenti umani di grandi dimensioni che, per uno
o più aspetti, non corrispondono a quello schema; quello che si può fare con
l’IA è riscostruire la storia della
preistoria, magari scoprendo che non c’è stato un solo cammino, che molti
altri cammini ci sono stati e che hanno
prosperato e durato: un altro mondo è possibile, un’altra città è possibile,
anche perché un altro mondo e un’altra città sono stati.
Ecco il contributo maggiore che questo “strumenti” possono dare: la città
non è destinata per forza a essere prigioniera del mercato e della rendita (in
realtà il mercato e la rendita stanno portandola verso l’estinzione).
Quale crede che sarà l’evoluzione futura
più importante nella pianificazione urbanistica?
Non sono ottimista. Come dicevo senza che vengano rimessi in discussione i
paradigmi della pianificazione non ci
saranno evoluzioni significative o positive. Certo l’uso degli “strumenti”
renderanno più facili ed efficaci le pratiche (e questo è un bene), ma senza
capire e interpretate la complessità e basare su questo la teoria della
pianificazione e senza un insieme di movimenti e un pensiero che mettano
in discussione la logica del mercato e della rendita, meglio di oggi non si
farà.